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Gianfranco Montano Bespoke

Gianfranco Montano Bespoke
Ogni volta è come un miracolo che si ripete. Come un mistero. E ogni volta è la stessa gioia, la stessa soddisfazione, quando quel lembo di pelle, neutra, scelta sul bancone si trasforma in un elegante, unico, perfetto paio di scarpa. Ci vogliono circa 40 ore, per la trasformazione. E’ un tempo fatto di manualità, di estro, di inventiva, di ingegno. Ma anche pieno di impegno per la sostenibilità, al servizio del pianeta. “Un progetto sostenibile e stili di vita che hanno come obiettivo immaginare un futuro migliore per tutti”, sottolinea Gianfranco Montano, 35 anni, di Sant’Arcangelo. Quella gioia lui la legge anche negli occhi dei clienti, meravigliati di come le sue mani siano capaci di trasformare in arte quel piccolo pezzo di pellame. E pensare che alla realizzazione delle scarpe Gianfranco c’è arrivato quasi per caso. Per amore verso la sua terra. “E’ accaduto otto anni fa – racconta – Facevo tutt’altro, lavoravo in un’azienda farmaceutica dell’Emilia Romagna,a Parma. Non mi sentivo soddisfatto. E allora, per tornare nella mia terra mi sono guardato intorno per capire cosa mancava in questa parte della Basilicata, la val d’Agri. Mi accorsi che non c’erano calzolai. Mancava la figura del riparatore. Ho iniziato così”.Non l’aveva mai fatto prima. Come ha imparato? Sono partito frequentando un corso di formazione a Foggia; ho imparato a smontare le scarpe, a capire cosa c’era dentro, le parti che ne compongono una finita. Dalle riparazioni alla realizzazione di scarpe artigianali, il salto com’è avvenuto? In modo alquanto curioso: un mio prozio venne a sapere che un suo familiare , un ragazzo, aveva aperto una bottega di calzolaio a Sant’Arcangelo. Lui, di Guardia Perticara, vive a Firenze. Un’estate venne in vacanza a Sant’Arcangelo e decise di venirmi a trovare. Ma io non c’ero. La bottega era chiusa per ferie. Mi lasciò un biglietto: sono Angelo Imperatrice, un tuo parente, quando puoi contattami. Quando tornai mi procurai il numero di telefono e lo chiamai: mi invitò a Firenze, dove insegna calzature al Polimoda di Ferragamo e all’accademia Riaci. Lui è stato l’insegnante,nella bottega Bemer, dell’attore Daniel Day Lewis, quando decise di imparare l’arte del calzolaio. Ovviamente andò a Firenze. Chiusi per ferie e andai quindici giorni. Mi servirono per capire quel che lui insegnava e realizzava. Mi disse che avrei dovuto andare più spesso, per capire come si costruiscono le scarpe su misura. Ogni mese ho cercato di trovare un po’ di tempo, anche un solo giorno, per seguire le sue lezioni. Viaggiavo la notte, il giorno seguivo i suoi insegnamenti e poi ritornavo a Sant’Arcangelo. Questo è accaduto due anni dopo l’apertura della bottega di calzolaio riparatore. E quando ha cominciato a realizzare le sue scarpe? Tra una riparazione e l’altra trovavo il tempo per creare qualcosa. A furia di fare pratica, rubando con gli occhi tutto quel che potevo del suo sapere, ho cominciato a prendere la mano e a realizzare le mie calzature. Una volta pronto il primo paio si sarà chiesto: e ora a chi le vendo? Certo che mi sono fatto questa domanda. Ma avevo due strade da percorrere. O puntare sulla qualità, la personalizzazione, cercando i clienti che avrebbero potuto comprare quel tipo di prodotto, o fare una scelta più popolare, utilizzando materiali di seconda scelta, per abbattere i costi e renderle accessibili a tutti. Mi sono detto: ogni paio di scarpa è un pezzo unico, non ce ne sarà mai uno identico all’altro. E questo mi ha fatto scegliere la qualità. Guardi, io curo ogni particolare. Le scarpe nascono da una pelle neutra. Insieme al cliente decidiamo i colori, le sfumature, che realizzo io direttamente. All’inizio, lo confesso, è stato sacrificante: in Basilicata non c’è una grossa economia né una tradizione forte dell’artigianato. Ho dovuto cercarmi i clienti. Quando capito di avercela fatta? Quando un mio cliente, al quale avevo fatto un paio di scarpe pochi mesi prima, è tornato per ordinarmene un altro. Ho capito che era rimasto contento, che il prodotto funzionava, che non era solo bello esteticamente. E ho capito che quel lavoro avrebbe potuto darmi da vivere. Ha fatto le scarpe anche a Francis Ford Coppola, il regista del Padrino. Com’è andata? Devo dare il merito alla direttrice dell’hotel Palazzo Margherita di Bernalda, Rossella De Filippo, che mi aveva conosciuto, aveva visto le cose che facevo e le ha proposte a Coppola. Un giorno mi hanno invitato a Bernalda per prendere le misure. C’ero andato preparato, avevo letto tante cose su di lui. Ero intimorito e molto misurato. Ma mi sono trovato davanti una persona splendida. Mi ha voluto conoscere, ha voluto sapere la mia storia. Poi ha chiesto ai suoi inservienti se ci scattavano una foto insieme. Io non avrei avuto il coraggio di chiederglielo. E si sono meravigliati anche i componenti del suo staff, perché pare non l’avesse mai fatto prima. Gli ho fatto due paia di scarpe. Ha altri clienti illustri? Soprattutto grossi imprenditori, in Italia e nel mondo. Il posto più strano dove ha spedito le sue scarpe? In Libia, erano dirette a un ingegnere del settore petrolifero e a Dubai. E poi normalmente in Germania e in Francia. Qual è il suo legame con Firenze? A parte il fatto che è il posto dove ho imparato a fare le calzature, amo l’arte, la bellezza, l’artigianato di quella città: considero la Toscana la mia seconda regione. A proposito di regioni: per la sua arte, non le sta un po’ stretta la Basilicata? No, affatto. Ho avuto tante proposte di spostarmi. Me lo hanno chiesto da Firenze, da Roma. Non l’ho fatto: non mi piaceva l’idea di aver imparato un’arte e poi di andarmene via, lasciare la mia terra. Per alcune attività mi sposterò a Matera, dove insieme al Cna Basilicata e al suo presidente Leo Montemurro cercheremo di fare un quartiere degli artieri, un luogo dove si potranno trovare gli artigiani lucani. Fa solo scarpe maschili? Per il momento sì. Ho realizzato poche paia di scarpe femminili, ma non l’ho mai pubblicizzate. Sono solo, i tempi per realizzare un paio di scarpe sono lunghi, servono circa 40 ore. E’ venuto a bussare alla porta del suo laboratorio qualche giovane, col desiderio di imparare il mestiere? No e ritengo negativa questa cosa. Io mi sposterò da Sant’Arcangelo per Matera. Da qui, ho un bacino, per le riparazioni, di diciassette paesi. Sono paesi dove non ci sono calzolai. A me farebbe piacere se un ragazzo venisse a chiedermi: mi insegni il mestiere? Non dico imparare a fare le scarpe su misura perché serve passione, tempo, sacrificio di imparare. Senza non ci si riesce. Ma creare un posto di lavoro per un ragazzo capace di fare le riparazioni, mi piacerebbe. Le riparazioni le fa negli avanzi di tempo? No, ci metto la stessa passione. Però, concedetemelo: quando si crea un prodotto, da niente nasce un’opera: è una soddisfazione. E quando il cliente vede che quel millimetro di pelle sul bancone si trasforma in un paio di scarpe di qualità, la gioia è davvero grande. Ha dei progetti futuri? Ho firmato un contratto di collaborazione con un’azienda americana: io disegno i modelli, scelgo la qualità dei materiali e loro, con il mio marchio, realizzano e distribuiscono le scarpe finite in una quindicina di Paesi orientali.

Categoria Merceologica

Abbigliamento e Accessori